Quando un paziente si presenta in un ambulatorio di chirurgia protesica, è nella maggior parte dei casi già molto orientato per una soluzione chirurgica. Ha spesso una propria “cultura” tradotta da Internet, esperienze di conoscenti, diversi sentito dire e, magari, per i più fortunati, qualche riferimento sanitario di tipo diretto. Un frequente riscontro ambulatoriale è una visita condotta con in allegato una serie di esami strumentali, che il paziente stesso ha di frequente già effettuato su indicazioni di terzi o per volontà propria.
Nella maggior parte dei casi, a fini terapeutici e chirurgici, tali esami tendono ad avere una valenza relativa. Alcuni possono servire, altri tendono a essere ridondanti, altri ancora inutili per il target preposto.
Uno dei presupposti che spesso è lasciato in disparte da parte di un’opinione pubblica sempre più interagente, è che cosa il chirurgo possa pensare in merito al caso che gli si presenta davanti. Decidere per un intervento di chirurgia protesica è un passo articolato, che prevede una strategia che non si risolve nell’assecondare, in pochi minuti, presumibili richieste o speranze del malato.
Uno degli obiettivi di fondo, per il chirurgo, è essere consci che quell’intervento possa essere precisamente indicato per quel soggetto, al netto di effetti collaterali ed eventi avversi, nel garantirgli una qualità di vita migliore. Questo vale anche per tutti gli altri profili di terapia, non solo per quelli di tipo chirurgico. E richiede un’analisi clinica approfondita, oltre che un’esperienza di peso.
La richiesta di un esame strumentale è un passaggio chiave nel processo e nel percorso terapeutico.
Di fronte a un’artrosi dell’anca o del ginocchio, non è possibile articolare contenuti che abbiano presupposti terapeutici validi, senza un esame strumentale specifico.
Nel caso di questi due ambiti, il ruolo centrale, sotto il profilo diagnostico, è strettamente legato a una radiografia. Sarà compito dello specialista richiedere eventuali proiezioni specifiche, che permettano un planning adeguato con la scelta dell’eventuale componente protesica.
O, di contro, che orientino verso una soluzione non chirurgica.
Ma può essere così determinante una radiografia per una scelta di fondo così radicale?
O meglio, può una radiografia, per quanto selettiva e dedicata, orientare la scelta del chirurgo verso criteri di outcome presumibilmente favorevoli?
In uno studio del 2015, alcuni autori hanno proprio cercato di studiare questo aspetto. Hanno considerato 573 pazienti, in parte con artrosi dell’anca e in parte con artrosi di ginocchio.
I 3⁄4 di questi pazienti avevano un’artrosi severa, valutata su base radiografica.
Essi sono stati seguiti e controllati per 1 anno dopo l’intervento di protesi, attraverso una serie di scale di valutazione validate e valutazioni cliniche ambulatoriali.
Ovviamente non tutti i pazienti hanno risposto favorevolmente ai requisiti di fondo (riduzione del dolore e miglioramento del quadro disfunzionale), ma la maggior parte sì.
Incrociando le variabili ottenute dai numerosi rilievi e attraverso particolari procedure statistiche, gli autori hanno potuto appurare una significatività nella correlazione tra grado di severità artrosica radiografica preoperatoria, e target clinico prefissato (riduzione del dolore e miglioramento del quadro clinico disfunzionale) a livello dell’anca, ma non a livello del ginocchio.
In altre parole, nel caso dell’artrosi dell’anca, una radiografia ben fatta e ben interpretata, può dare un forte contributo a una scelta strategica importante, con indici di base favorevoli sui criteri di outcome. Non così a livello del ginocchio, dove la radiografia, per quanto essenziale, non sembra risultare così predittiva.
Non serve pertanto anticipare una possibile scelta terapeutica (che non è scontato sia chirurgica) con esami non idonei o scarsamente indicativi per una tale scelta. Una radiografia con precise indicazioni tecniche è nella maggior parte sufficiente ai fini di una decisione terapeutica.
Abbinare un esame strumentale tecnicamente valido e qualitativamente idoneo, condotto quindi con criteri e tempi razionali, a un’analisi attenta e ponderata da parte del clinico, rappresenta in assoluto il target di prima scelta per una decisione impegnativa come quella di una sostituzione protesica di un’articolazione, in particolare dell’anca.
Esami ridondanti e approsimazione o superficialità nella valutazione del contesto clinico del paziente, sia distrettuale che soprattutto generale, sono indici predittivi di un più facile insuccesso nella strategia terapeutica